lunedì 21 marzo 2011

Terremoto = catastrofe nucleare, Perché?

Ingegneria e tecnologia
Aggiornamento al 18 marzo

Fukushima: anatomia di un disastro


Come si è arrivati a questo punto. In coda l'aggiornamento al 18 marzo

La sequenza di eventi che ha portato il Giappone sull'orlo del disastro nucleare non è ancora definibile con certezza in ogni dettaglio. Le notizie in arrivo dal paese asiatico sono frammentarie, tuttavia è possibile ricostruire per grandi linee come si è arrivati a questo punto, e cioè: il reattore numero due dell'impianto di Fukushima Daiichi che potrebbe aver sperimentato una fusione parziale del nocciolo, come dichiarato dalla stessa compagnia che gestisce l'impianto, e altri due, rispettivamente il reattore uno e il reattore tre, su cui è stato necessario intervenire per diminuire la pressione al loro interno, liberando fatalmente vapore radioattivo.

Al momento del sisma, lo scorso 11 marzo, nell'area del Giappone colpita con più intensità dal terremoto erano in funzione 11 reattori nucleari, distribuiti su quattro siti differenti. Tutti erano dotati di sistemi di sicurezza antisismici, entrati regolarmente in funzione subito dopo il terremoto. Come spiega Andrea Borio, direttore del Laboratorio Energia Nucleare Applicata all'Università di Pavia: «Appena il sistema antisismico ha rilevato la scossa, tra le barre di uranio del nocciolo sono state inserite, in modo automatico, tutte le barre di controllo, ossia barre composte da materiali che interrompono la reazione di fissione nucleare.

A questo punto, il problema da affrontare era lo smaltimento del calore residuo generato dal decadimento dei numerosi isotopi radioattivi prodotti dalla fissione. «In condizioni normali - specifica Borio - i sistemi di raffreddamento sono alimentati dalla rete elettrica». In questi sistemi, l'acqua circola all'interno del nocciolo, assorbe il calore prodotto dalla reazione di fissione, esce dal nocciolo, è raffreddata da uno scambiatore di calore e ritorna nel nocciolo, dove assorbe altro calore. Grazie a questo ciclo, la temperatura rimane sotto controllo e a valori normali per la gestione dell'impianto in sicurezza. «Il sistema di raffreddamento, però, nei reattori uno, due e tre di Fukushima Daiichi si è interrotto perché si è interrotta la fornitura di corrente elettrica di rete, probabilmente a causa di danni provocati dal terremoto.»

In questo caso, è prevista l'entrata in funzione di motori diesel di emergenza, che però avrebbero funzionato solo per un'ora circa dal distacco dalla rete elettrica avvenuto subito dopo il sisma, solo sessanta minuti prima di venire travolti e messi fuori gioco dallo tsunami. «Sembra che l'impianto fosse stato progettato per resistere ad un'onda di 6.5 metri di altezza, mentre l'onda dello tsunami che si è abbattuto sulla centrale avrebbe superato i 7 metri», rivela Borio. Irresponsabilità? In realtà è molto probabile che i progettisti dell'impianto, entrato in funzione oltre quarant'anni fa, abbiano considerato i registri storici dei terremoti e i dati geologici per poi concludere che sei metri di altezza sarebbe stata estremamente improbabile. Ma anche in questo caso ancora non si è arrivati a una conclusione certa e definitiva.

Senza circolazione, l'acqua all'interno dei noccioli dei tre reattori di Fukushima Daiichi ha iniziato a surriscaldarsi, a causa del calore prodotto dal decadimento radioattivo, e a evaporare, lasciando probabilmente scoperta una parte delle barre di combustibile di uranio. La produzione massiccia di vapore ha fatto aumentare sempre più la pressione all'interno delle tre centrali, il rischio era un'esplosione, un po' come accade in pentole a pressione con valvola di sicurezza otturata. «Quindi è stato deciso di far sfogare parte del vapore, debolmente radioattivo, nell'ambiente, in modo da riportare la pressione a livello normale», spiega Borio. A questo punto, grazie al ripristino del funzionamento generatori di emergenza e all'impiego di altri generatori si è ricominciato a pompare acqua nei noccioli, che nel frattempo si erano surriscaldati.

A temperature elevate, il contatto tra l'acqua e le guaine (in lega di zirconio) che rivestono il combustibile causa l'ossidazione dello zirconio e la produzione di idrogeno. Nei reattori numero uno e numero tre, attraverso i ripetuti sfiati di vapore necessari per mantenere la pressione dei contenitori (sia quello interno in acciaio sia quello primario in cemento armato) entro i limiti di sicurezza, l'idrogeno ha potuto disperdersi fino a raggiungere l'intercapedine tra il contenitore primario e il tetto dell'edificio reattore. Probabilmente una scintilla ha fatto esplodere l'idrogeno, abbattendo il tetto, come hanno mostrato le immagini che hanno fatto il giro del mondo. Tuttavia, la sezioni più importanti dei reattori uno e tre sono rimaste integre: le barre di combustibile sono confinate all'interno dei recipienti in acciaio (dello spessore di circa 20 centimetri), a loro volta protetti dal contenitore primario. E la temperatura sarebbe sotto controllo, grazie alla continua immissione di acqua di mare.

E qui si verifica un altro problema inatteso, che però riguarda il reattore numero due, quello che ha tenuto con il fiato sospeso il Giappone, e non solo. Durante le prime fasi dell'emergenza, il reattore numero due sembrava il meno problematico dei tre di Fukushima Daiichi. Il raffreddamento con generatori mobili che avevano sostituito quelli distrutti dallo tsunami funzionava in modo abbastanza efficace, poi però gli eventi che hanno riguardato il reattore numero tre hanno cambiato lo scenario in modo radicale. «L'esplosione del reattore tre avrebbe compromesso la funzionalità del sistema di raffreddamento del reattore due, che ha iniziato a surriscaldarsi di nuovo». Anche in questo caso l'acqua ha iniziato a bollire ed evaporare, e la diminuzione del livello del refrigerante avrebbe causato la parziale fusione di barre di combustibile. E anche in questo caso, una volta riportata la pressione a valori accettabili, i tecnici hanno ricominciato a pompare acqua nel nocciolo, che ha portato alla formazione di idrogeno. «Ma a differenza dei reattori uno e tre, l'idrogeno prodotto nel reattore due non si è distribuito nello spazio tra il contenitore primario di cemento armato e parete esterna. Sembrerebbe che il gas si sia diffuso fino alle vasche di soppressione del vapore, collegate con il contenitore primario, dove poi è esploso», spiega Borio.

Ricapitolando: il reattore uno e il reattore tre al momento sarebbero ragionevolmente sotto controllo. Il reattore due è tornato sotto controllo ma potrebbe aver subito danni strutturali alle vasche di soppressione che sono collegate al contenitore primario di cemento. Se tale evento si rivelasse vero e se il nocciolo fuso riuscisse a perforare il contenitore in acciaio, potrebbe arrivare a contatto con l'ambiente attraverso la crepa aperta dall'esplosione avvenuta nelle vasche. Un percorso «molto improbabile», come lo definisce Borio.

«Per fondere l'acciaio, dovrebbe fondere una parte consistente del nocciolo. Una fusione parziale non dovrebbe creare problemi», rassicura Borio. Che aggiunge: «Siamo ben lontani da Chernobyl. In quel caso, tra nocciolo e ambiente esterno non c'era né una barriera di acciaio né una di cemento armato». Il reattore quattro, l'ultimo arrivato dell'emergenza è un discorso a parte. In questo caso si è verificata un'esplosione e almeno due incendi in una zona dell'impianto dove sono temporaneamente alloggiati gli elementi di combustibile nucleare scaricati dal nocciolo. L'incendio di questo materiale può rilasciare nell'aria particelle radioattive che possono poi disperdersi nell'ambiente.

Il testo che segue è un aggiornamento al 18 marzo:

Con il passare dei giorni, la situazione al reattore numero 4 è peggiorata al punto da diventare critica. In questo reattore, nella vasca dove viene stoccato temporaneamente il combustibile esausto è attualmente alloggiato tutto il nocciolo del reattore, trasportato lì durante il fermo dell’impianto per manutenzione. Sempre sulla base delle informazioni disponibili, Borio spiega che: «In genere, nelle vasche di stoccaggio di un impianto nucleare viene depositato, per un periodo di tempo limitato, il combustibile scaricato durante le operazioni di ricarica del nocciolo, quindi una frazione del totale. Il combustibile scaricato dal nocciolo deve essere mantenuto sotto battente d’acqua e raffreddato con continuità per rimuovere il calore residuo di decadimento. Nel reattore 4 però, per poter svolgere una manutenzione programmata, era stato trasportato tutto il nocciolo dell’impianto, ed ora, a causa dell’esplosione e degli incendi che hanno danneggiato l’edificio reattore e, probabilmente, anche la vasca di stoccaggio, tra il combustibile nucleare e l’ambiente l’unica barriera di contenimento rimasta è la guaina del combustibile stesso. Gli incendi che si sono susseguiti potrebbero aver danneggiato anche quest’ultima barriera e questo spiegherebbe perché l’intensità di dose da radiazioni sia così elevata nell’intorno dell’impianto». Ed è anche il motivo per cui il continuo rischio di incendi allarma i giapponesi e la comunità internazionale. Il livello dell’acqua nella vasca sembrerebbe essere molto basso, situazione estremamente pericolosa perché, se perdurasse a lungo, potrebbe causare una fusione parziale delle barre di combustibile.

Nel frattempo la situazione è diventata critica anche al reattore numero 3. Anche in questo caso si sono registrati incendi che hanno colpito la vasca dove viene stoccato il combustibile esausto. «La situazione in questo caso è aggravata dal fatto che, a quanto sembra, all’interno della vasca sono alloggiati elementi di combustibile a ossidi misti uranio-plutonio, indicati convenzionalmente con la sigla MOX», spiega Borio. Anche nel reattore 3 l’esplosione del tetto dell’edificio reattore ha eliminato una barriera di contenimento, lasciando ancora una volta come unica barriera la guaina del combustibile. Anche in questo caso il livello dell’acqua nella vasca è ai minimi termini, rendendo più rischioso il danneggiamento della guaina.

In entrambi i casi si cerca di controllare la situazione pompando acqua sugli impianti con ogni mezzo possibile.



(Giovanni Spataro)

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