venerdì 5 ottobre 2012

AGRICOLTURA BIOLOGICA E TRADIZIONALE


Agricoltura biologica o agricoltura tradizionale? Oggi pubblico un articolo che mi ha passato un mio cliente, l'autore. Pubblicato oggi anche su "20 Minuti". La mia idea è che l'agricoltura tradizionale dovrebbe essere quella biologica, visto che l'agricoltura di oggi è un'aberrazione che potrebbe arrivare fino all'agricoltura degli OGM. Vi lascio alla lettura di un parere molto più importante del mio.
Buona lettura

Sergio



AGRICOLTURA BIOLOGICA E TRADIZIONALE



Breganzona 01 10 2012

COMUNICAZIONE

La confusione fra la differenza dell’agricoltura biologica e tradizionale, è purtroppo sovente presente nei media.
Parecchi giornali pubblicano articoli provenienti da svariati enti più o meno competenti, che giudicano arbitrariamente i valori dei diversi metodi di produzione agricola.
Leggevo ultimamente su 20 Minuti, rivista del 14 settembre, che ancora una volta si fa grande confusione fra la differenza valori dei prodotti agricoli biologici e quelli tradizionali.
Infatti, l’università di Stanford afferma col suo articolo apparso a pagina 25, che la sola differenza fra i due sistemi di coltivazione sta solo nel contenere meno residui di agenti chimici nei prodotti biologici.
Ora, in qualità di agronomo ecologico, mi sento il dovere di smentire tale affermazione incompleta e diffamatoria.
Il lettore dovrebbe essere informato sulla vera differenza fra un prodotto bio e uno tradizionale e non su un solo argomento isolato.
Per esempio e per essere breve, asserisco che il fatto di produrre in modo biologico va ben oltre alla sola rinuncia all’uso della chimica.
Faccio alcuni esempi:
Per produrre un solo kg di azoto nitrico (fertilizzante) occorrono circa 3 kg di petrolio. E per produrre un ha (10’000m2) di lattuga occorrono circa 80 kg di azoto nitrico corrispondenti a 240 kg di petrolio, mentre in agricoltura biologica si somministra questa quantità azotata solamente con fertilizzanti naturali come letame , composto, leguminose seguite da sovesci ecc.
Nel mondo si coltivano milioni di ha di lattuga e simili ogni anno, con un consumo di petrolio enorme e con i relativi effetti inquinanti.
Per riscaldare le serre fuori stagione si consumano migliaia di tonnellate di olio di riscaldamento, mentre in agricoltura biologica si coltivano solo prodotti di stagione, rinunciando al riscaldamento forzato.
Altro esempio:
La consociazione biologica delle specie coltivate fa risparmiare sia concime che antiparassitari.
Il divieto assoluto di coltivare su suoli derivati dalla disastrosa deforestazione giustifica un maggiore rispetto ecologico. Quanta energia si adopera per deforestare milioni di ha, e con quale futuro si continuerà in questo modo? Un terreno deforestato rimane fertile per pochissimi anni, poi il deserto prenderà il suo posto!
Se poi si osserva l’aspetto della manipolazione genetica (OGM) il tutto va a favore della coltivazione biologica.
Ho visto personalmente irrorare con aeroplani, campi di cotone con pesticidi tossici, non rispettando la presenza di bambini che giocavano nei campi o nelle loro vicinanze. Altri bambini preparavano esche di pesticida, mescolato con crusca, zucchero e acqua, con le mani nude! Per loro sfortuna, nessuno raccomandava loro di lavare le mani dopo il lavoro!

E per gli allevamenti animali?
Le esigenze bio sono molto più strette e severe di quelle tradizionali, infatti nel mondo si allevano ancora animali in batterie anguste in condizioni di puro sfruttamento economico. La somministrazione di letame suino aromatizzato con prodotti appetenti, non è permessa nell’allevamento suinicolo in agricoltura biologica.
Persone competenti mi hanno detto che tale pratica non è rara in America latina.
L’uso scriteriato degli antibiotici nel mangime che è permesso al mondo non è tollerato in agricoltura biologica.
Se si misurasse il tenore di ferro e di thiamina nei prodotti bio e si confrontassero con quelli ottenuti in modo tradizionale, si noterebbero enormi differenze a favore dalla coltivazione biologica.
La lista delle argomentazioni, come si può leggere è molto più lunga della solo citazione dei trattamenti chimici e questo smentisce il misero argomento dell’Università di Stanford…
Per fortuna che gli agricoltori svizzeri che coltivano sia in modo tradizionale che biologico, sono molto rispettosi delle direttive emanate dall’OFAG e che certe pratiche usuali altrove, non sfiorano nemmeno le loro menti.
Quando si acquistano prodotti agricoli, occorrerebbe anche pensare che non è solo il prezzo a far pendere la bilancia verso una scelta.
Ci vorrebbe più spazio a disposizione per elencare le argomentazioni a favore del bio, ma la cosa migliore da fare sarebbe quella di visitare le aziende biologiche, degustare i loro prodotti e trarne le dovute considerazioni.

Sergio Gobbin Agronomo Breganzona.

venerdì 17 agosto 2012

Viator


La battaglia stava cominciando, la fanteria dei cartaginesi era davanti a loro in netta inferiorità numerica, le legioni romane erano in formazione, e stavano avanzando verso le formazioni africane, tutti pensavano ad una facile vittoria, vista la maggiore potenza dell'esercito romano.
Le falangi di Annibale sentivano già la forza delle legioni, stavano indietreggiando, si ritiravano, bastava inseguirli e distruggerli tutti. Le Legioni avanzavano, rincorrevano le falangi cartaginesi, spronati dalla cavalleria alle loro spalle, ma qualcosa non quadrava, mancava la cavalleria nemica, ma anche le falangi sembrano un numero minore di quello che pensava.
Ora si erano arrestati su una posizione arretrata, le legioni romane erano al centro della piana, ora era tutto fermo, c'era una strana aria, si sentiva che qualcosa era cambiato. La cavalleria di Annibale, sulle due ali all'attacco e due grosse falangi nemiche alle nostre spalle. Eravamo in un buco, eravamo in una sacca accerchiati la fanteria davanti attaccava, la cavalleria aveva tagliato la strada alla nostra e la stava annientandole falangi che erano comparse dal nulla stavano completando l'accerchiamento. Non avevamo più nessuna via d'uscita se non combattere.
Era una carneficina, erano troppo serrati, occorreva allargarsi, non si riuscivano ad usare le lance, i gladii erano inutili i cartaginesi li infilzavano uno dopo l'altro, stavano arrivando verso di lui, due davanti, un altro sulla destra due suoi compagni al suo fianco erano già caduti, lui aveva colpito alla destra, ma poi una lancia gli stava arrivando contro, non sarebbe riuscito ad evitarla, la vedeva arrivare, a rallentatore, contro il suo corpo verso il torace o il collo.

sabato 5 maggio 2012

Giappone, Spento L'ultimo Reattore Nucleare


(da repubblica online)


Giappone, spento l'ultimo reattore
da oggi il paese senza nucleare

Per la prima volta in 42 anni il paese non avrà più energia elettrica generata dall'atomo. Centinaia di giapponesi sono in marcia per la chiusura definitiva delle centrali


TOKYO - Da questa sera, per la prima volta in 42 anni, il Giappone non avrà più, almeno nell'immediato futuro, energia elettrica generata dall'atomo. La decisione segue la crisi dopo l'incidente alla centrale di Fukushima. La Hokkaido Electric Power, utility dell'isola a nord di Hokkaido, disattiverà l'unità n.3 della struttura di Tomari, l'ultima attiva sulle 54 disseminata nell'arcipelago, con la procedura che partirà dalle 17:00 locali, saranno le 10:00 in Italia, e si concluderà col blocco totale previsto alle 23:00.

Oggi centinaia di giapponesi sono in marcia per chiedere la fine definitiva dell'utilizzo del nucleare. La folla si è radunata in un parco di Tokyo dicendosi non preoccupata per gli allarmi del governo per possibili mancanze di energia nei prossimi mesi.

Lo stop dei reattori, obbligatorioogni 13 mesi in Giappone per poter effettuare i controlli ordinari, si è da oltre un anno intrecciato alla crisi di Fukushima. Dopo il devastante sisma e tsunami dell'11 marzo 2011, la peggiore emergenza dopo Cernobyl, ha rilanciato forti dubbi sulla sicurezza degli impianti che, al contrario, era in precedenza considerata una certezza.

La perdita di radiazioni e le evacuazioni di massa hanno moltiplicato le paure nell'opinione pubblica sulle centrali al punto che, al netto dei reattori danneggiati, come la centrale di Fukushima Dai-ichi), tutte le unità fermate per le verifiche di routine non sono più ripartite in scia alle forti resistenze registrate tra le comunità locali.

Il processo amministrativo di riavvio, dopo il via libera dell'authority sulla sicurezza nucleare, prevede che ci sia il consenso espresso dagli enti locali (comuni e prefetture) che ospitano gli impianti. Finora, da questi ultimi non è maturata alcuna approvazione neanche in quelle zone a forte vocazione come la prefettura di Fukui, il 'cuore atomico' del Giappone con 14 reattori su una superficie simile a quella della città di Roma, che ne fanno l'area più nuclearizzata al mondo.


(05 maggio 2012)

giovedì 19 aprile 2012

il nuovo materiale delle meraviglie





Le sorprese del grafene
il "materiale delle meraviglie"

Un composto da premio Nobel, con straordinarie proprietà fisiche e chimiche ancora tutte da scoprire. Dai metodi di produzione basati sui microbi fino ai nuovi dispositivi elettronici, ecco le nuove interessanti scoperte sul grafene

di MASSIMILIANO RAZZANO


IMMAGINATE un materiale capace di condurre l'elettricità meglio del rame, trasparente come il vetro e più resistente dell'acciaio. Immaginate poi di poterlo piegare come se fosse plastica, e realizzare così schermi touchscreen da arrotolare e portarvi in tasca. Pura fantascienza? Forse no, perché gli scienziati conoscono già da anni il grafene, un "materiale delle meraviglie" con proprietà ed applicazioni in parte ancora ignote. 

Così, mentre parte della comunità scientifica sta studiando le caratteristiche del grafene, molti ricercatori in tutto il mondo sono impegnati a sviluppare tecniche di produzione innovative, come quella recentemente sviluppata alla Toyohashi University of Technology 2

Un gruppo coordinato da Yuji Tanizawa è infatti riuscito ad "addomesticare" dei microorganismi raccolti in un fiume vicino al campus universitario, nella prefettura di Aichi, ed utilizzarli così per produrre i sottilissimi fogli di grafene. Il nuovo metodo, presentato sulle Conference Series del Journal of Physics, sfrutta quindi un procedimento ibrido che combina processi chimici ed agenti biologici e che potrebbe offrire un nuovo canale per produrre grafene di alta qualità, a basso costo, e nel completo rispetto dell'ambiente. 

Un materiale da premio Nobel. Costituito da uno strato di atomi di carbonio collocati su una struttura a nido d'ape, il grafene è considerato uno dei materiali più promettenti del futuro. Questo materiale bidimensionale è infatti ultrasottile, flessibile, ed è circa 200 volte più resistente dell'acciaio. E' inoltre un ottimo conduttore di calore e di elettricità, e per le sue proprietà di trasporto degli elettroni è già considerato l'erede del silicio3nell'elettronica del futuro. 

Ma uno degli aspetti più sorprendenti del grafene è che ce l'abbiamo sotto gli occhi praticamente quasi tutti i giorni, ogni volta che scriviamo con una matita. La grafite, di cui è fatto il cuore delle nostre matite, è infatti una sovrapposizione di strati di grafene separati da tre decimilionesimi di millimetro.

Nonostante molti studi teorici avessero iniziato a delineare le proprietà fisiche e chimiche degli strati di grafite sin dalla prima metà del Novecento, il grafene rimase per decenni lontano dai laboratori. Si riteneva infatti che la configurazione atomica del grafene fosse altamente instabile e che fosse quindi impossibile crearlo a temperatura ambiente.

Tutto cambiò nel 2004, quando un gruppo di ricercatori dell'Università di Manchester, guidati da Andre Geim e Konstantin Novoselov, riuscì per la prima volta ad isolare il grafene in laboratorio. Geim e Novoselov avevano infatti usato un nastro adesivo per strappare singoli piano di grafene da un substrato di grafite. La scoperta, discussa su Science nell'ottobre 2004 4, era così rivoluzionaria da meritare un biglietto per Stoccolma in tempi record. Dopo solo sei anni, Geim e Novoselov ricevettero il premio Nobel 2010 per la Fisica 5, per "i pionieristici esperimenti sul materiale bidimensionale grafene".

Batteri mangia-grafite. La scoperta di Geim e Novoselov aprì la strada ad un nuovo settore della fisica dei materiali, su cui iniziarono a lavorare scienziati in tutto il mondo. Molti gruppi di ricerca, come quello di Tanizawa, si concentrano oggi sullo sviluppo di tecniche di produzione alternative al metodo di esfoliazione adottato da Geim e Novoselov.

Il gruppo giapponese lavora infatti sui metodi di tipo chimico, che sfruttano cioè reazioni per produrre grafene a partire dall'ossido di grafite. Questo materiale ha una struttura laminare molto simile alla comune grafite, ma dove però ad alcuni atomi di carbonio sono legati altri atomi, come ad esempio ossigeno ed idrogeno. Per produrre il grafene, si operano dei processi chimici di riduzione, nei quali cioè vengono ceduti elettroni all'ossido di grafite, in modo da spezzare i legami con l'ossigeno e ricondursi poi ai singoli piani di grafene.

Tuttavia questi processi chimici utilizzano come reagente l'idrazina, oppure si basano sul riscaldamento ad altissime temperature, due tecniche che rendono il procedimento molto costoso e persino tossico. Per questo motivo i ricercatori giapponesi hanno deciso di "chiedere aiuto" ad alcuni microorganismi capaci di operare processi di riduzione chimica.

Molti batteri, come ad esempio quelli della specie Shewanella oneidensis, ricavano infatti energia dai processi di riduzione, trasportando cioè elettroni verso l'esterno in un curioso processo di respirazione cellulare 6. Facendo "respirare" ai microbi l'ossido di grafite per tre giorni ad una temperatura controllata di 28 °C, i ricercatori sono così riusciti ad ottenere frammenti di grafene grandi 100 micron e di ottima qualità, in un processo non tossico e poco costoso.

Dai transistor alle reti superveloci. Produrre grafene di qualità e a costi contenuti è una priorità, soprattutto in vista delle nuove potenzialità che si scoprono giorno dopo giorno. Sicuramente le applicazioni più promettenti sono legate all'elettronica, viste le peculiari proprietà del grafene nella conduzione di corrente. Nel 2010 ad esempio, un team della IBM è riuscito a creare transistor al grafene capaci di operare a frequenze superiori a 100 GHz.

Tuttavia per fare il salto verso processori a base di grafene occorre superare un ostacolo legato alle perdite di corrente di questi transistor, che impediscono di montare troppi transistor in un singolo circuito. Un ostacolo che potrebbe presto essere superato grazie ad una nuova scoperta realizzata da Andre Geim epubblicata a febbraio su Science 7.

Geim e colleghi hanno infatti sfruttato la "terza dimensione" del grafene, accoppiando diversi strati di questo materiale con vari strati di metallo, creando così transistor di nuova generazione. Le proprietà quantistiche del grafene, legate ad esempio al basso momento magnetico dei nuclei di carbonio, rendono inoltre questo materiale un ottimo candidato per creare i dispositivi di base per la spintronica, ovvero l'elettronica basata sui bit quantistici, o qubit, che dovrebbe essere alla base dei computer quantistici 8.

Ma le meraviglie del grafene potrebbero portarci altri regali futuri, fra cui sistemi di trasmissione digitale ancora più veloci. E' infatti possibile alterare i livelli energetici del grafene per renderlo più o meno trasparente e creare così dei modulatori ottici, ovvero degli interruttori capaci di controllare il percorso dei segnali luminosi. I primi modulatori ottici a base di grafene, grandi pochi micron, sono stati realizzati all'Università di Berkeley e presentati per la prima volta su Nature 9 nel maggio dell'anno scorso. Questi 'interruttori luminosi' saranno utilissimi nell'ottica quantistica e nella comunicazione digitale ad altissima velocità.

Come la plastica cento anni fa. Le potenziali applicazioni vanno oltre l'elettronica o l'ottica. Per esempio, la densità del grafene lo rende impermeabile ai gas, una proprietà che potrebbe essere sfruttata per creare filtri più efficienti, ad esempio nella produzione di biocarburanti. Essendo poi un materiale praticamente bidimensionale, il grafene può essere usato per costruire sensori a grande area sensibile capaci di individuare singoli atomi, e costruire così rilevatori di sostanze tossiche estremamente sofisticati.

L'accoppiata fra le proprietà elettriche e meccaniche del grafene permetterà inoltre di costruire molti dispositivi estremamente efficienti e flessibili, fra cui schermi touchscreen 10, batterie ad alta capacità e pannelli solari di nuova generazione. Inoltre, i fogli di grafene possono essere arrotolati in nanotubi di carbonio, che già oggi sono alla base di moltissime applicazioni nel campo delle nanotecnologie.

Ma l'aspetto forse più intrigante è che gli scienziati sono ancora lontani dalla comprensione completa delle proprietà del grafene. Fino a pochi mesi fa non si sapeva molto delle proprietà magnetiche di questo materiale, fino a quanto il gruppo di Geim è riuscito a mettere in evidenza le prime tracce di fenomeni magnetici nel grafene, come descritto in un articolo apparso a gennaio su Nature Physics 11. E' sicuro che anche questa scoperta porterà a nuove interessanti applicazioni.

Il grafene è quindi ancora ricco di misteri. Le sue potenzialità sono così grandi che oggi è praticamente impossibile immaginarle tutte. A cosa servirà il grafene? Una domanda a cui nemmeno il premio Nobel Andre Geim sa ancora rispondere, come ebbe modo di dichiarare ai tempi del Nobel. "Non lo so. E' come presentare un pezzo di plastica a un uomo di un secolo fa e chiedergli cosa ci si può fare. Un po' di tutto, penso". Detto da un premio Nobel, non possiamo che fidarci.


(18 aprile 2012)


... che meraviglia di materiale
Sergio

giovedì 29 marzo 2012

L'Italia e le fonti rinnovabili - Ma servono davvero le centrali nucleari


(fonte repubblica online)

Energia sempre più piccola e verde
ormai soddisfa un quarto dei bisogni

Presentato il rapporto di Legambiente "Comuni rinnovabili". Grazie alla produzione di 400 mila impianti diffusi sul territorio le rinnovabili coprono il 26% dei consumi nazionali. Il ministro Clini: "C'è poco spazio per altre grandi centrali termoelettriche"di VALERIO GUALERZI

ROMA - L'Italia non è completamente coperta da pannelli solari e non siamo ancora stati sfrattati da casa, eppure nel 2011 il 26,6% dell'elettricità e il 14% dell'energia  che abbiamo consumato è stata comunque prodotta da fonti pulite. "Comuni rinnovabili", l'annuale rapporto realizzato da Legambiente, ha tra i tanti meriti soprattutto quello di ricordarci come un lento e silenzioso cambiamento dal basso ha rivoluzionato negli ultimi anni il sistema energetico italiano, smentendo i catastrofici verdetti dei detrattori interessati. ''Se tutta l'Italia fosse ricoperta di pannelli solari e la popolazione venisse trasferita su navi avremmo comunque a disposizione un quarto dell'energia necessaria", sentenziava nel 2010 l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni.

Bene, l'ultimo dossier di Legambiente, realizzato in collaborazione con il Gse e Sorgenia, presentato questa mattina a Roma alla presenza del ministro dell'Ambiente Corrado Clini e del Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas Guido Bortoni, certifica invece che un obiettivo simile è stato centrato nel giro di appena due anni senza bisogno dei paventati devastanti effetti collaterali.


Un nuovo modello. "Dal 2000 ad oggi 32 TWh da fonti rinnovabili si sono aggiunti al contributo dei vecchi impianti idroelettrici e geotermici", si legge nel rapporto. "E' qualcosa di mai visto, che ribalta completamente il modello energetico costruito negli ultimi secoli intorno alle fonti fossili, ai grandi impianti, agli oligopoli", spiega il curatore Edoardo Zanchini. "Decine di migliaia di impianti installati negli ultimi anni (piccoli, grandi, da fonti diverse) e i tanti progetti in corso di realizzazione - sottolinea - stanno dando forma a un nuovo modello di generazione distribuita, in uno scenario che cambia completamente rispetto al modo tradizionale di guardare all'energia e al rapporto con il territorio".

Risultati esaltanti. "Comuni rinnovabili" snocciola quindi una lunga serie di numeri che descrivono la portata del fenomeno. Grazie a oltre 400 mila impianti distribuiti su tutto il Paese, la produzione da fonti rinnovabili "nel 2011 ha raggiunto il 26,6% dei consumi elettrici complessivi italiani (eravamo al 23% nel 2010), e il 14% dei consumi energetici finali (eravamo all'8% nel 2000)". "In un anno - si legge ancora nel dossier - la produzione è passata da 76,9 TWh a 84,1, secondo i dati del GSE, e malgrado il contributo dell'idroelettrico sia sceso (da 51 TWh a 47), perché intanto sono cresciute tutte le altre fonti". Nel trarre i bilanci non si può prescindere dal totale, ma la vera forza delle rinnovabili per come viene fotografata dal rapporto di Legambiente sta nella loro capillarità.


Non solo fotovoltaico. Grazie a un mix di fonti pulite (grande idroelettrico escluso), ben 279 Comuni soddisfano una percentuale compresa tra il 50 e il 79% delle loro necessità, 1338 coprono tra il 20 e il 49%, mentre quelli autosufficienti per la sola elettricità sono oltre 2mila. E se siete preoccupati per gli impatti sul paesaggio p il caso di citare anche i 109 municipi dove questo obiettivo è centrato grazie esclusivamente al fotovoltaico installato sui tetti degli edifici. Il top è rappresentato infine dai 23 comuni energeticamente autosufficienti al 100%, quasi tutti concentrati nell'arco alpino. In testa alla classifica troviamo quest'anno una nuova entrata, Varna, in provincia di Bolzano, che copre i fabbisogni delle proprie famiglie attraverso 66 impianti fotovoltaici per complessivi 3,3 MW, un piccolissimo impianto mini idroelettrico da 70 kW e un impianto a biogas da 1.140 kW mentre l'energia termica viene prodotta attraverso un impianto a biomasse da 6.500 kW e distribuita attraverso una rete di teleriscaldamento. Altri riconoscimenti sono andati invece al comune toscano di Vicchio e alla provincia di Roma.


Ciò che ancora manca. Il rapporto fotografa insomma un caso italiano di successo, con punte di eccellenza a livello internazionale, ma secondo Legambiente non è tanto importante ricordare le valutazioni dei tanti "che avevano considerato questi risultati semplicemente impossibili da realizzare" quanto gettare le basi per consolidare e ampliare gli obiettivi raggiunti. La madre di tutte le ricette è la definizione di quel piano energetico nazionale che manca ormai da decenni e che ormai, vista l'emergenza ambientale, dovrebbe chiamarsi Piano per il clima. Al suo interno, spiega Zanchini, "è il momento di dare certezze a questa prospettiva, puntando su un modello sempre più efficiente, distribuito, rinnovabile: non sono consentiti ulteriori e incomprensibili ritardi da parte del governo nell'emanazione dei decreti di incentivo alle rinnovabili termiche ed elettriche, e serve anche più coraggio per spingere la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio".

Luoghi comuni da rivedere. Ma proprio come il successo delle rinnovabili ha smentito i luoghi comuni sulla loro inevitabile marginalità, allo stesso modo se si vuole davvero andare avanti occorre fare piazza pulita dal ritornello che ci vuole perennemente in credito di nuove centrali. "Secondo i dati di Terna - ricorda il dossier - il totale di centrali termoelettriche installate è pari a 78mila MW, a cui vanno aggiunti 41mila MW da fonti rinnovabili. Se consideriamo che il record assoluto di consumi di elettricità in Italia (avvenuto il 18 dicembre 2007) è di 56.822 MW richiesti complessivamente alla rete, si comprende come il tema della sicurezza, e quindi la necessità di realizzare nuove centrali, non esista", a maggior ragione in virtù dei tanti "investimenti fatti in centrali che lavorano meno ore di quanto programmato. Con la conseguenza che le aziende hanno interesse a non far calare i prezzi per rientrare degli investimenti".

La sponda del ministro Clini. In realtà le prime bozze che circolano in materia di incentivi alle rinnovabili (termiche ed extra fotovolotaico), insieme alle spinte per il varo di un quinto conto energia che dia un giro di vite troppo stretto al solare incutono grande preoccupazione per il futuro. Ma consolo se non altro che dopo tanto tempo a questa parte le analisi degli ambientalisti coincidano non solo con quelle di un crescente settore industriale, ma anche con quelle del ministero dell'Ambiente. E' necessario "rafforzare la diffusione degli impianti di generazione distribuita incardinata sulle fonti rinnovabili di efficienza energetica", ha avvisato oggi il ministro Clini. Bisogna, ha ricordato, "rivedere il Piano energetico nazionale, aggiornare il Piano d'azione sulle rinnovabili e mettere insieme queste due cose, tenendo presente la direttiva Ue, sull'efficienza energetica, ormai in fase di approvazione, e legando tutto questo alle smart cities e all'efficienza energetica". Tutto ciò, ha considerato ancora Clini, "mette in discussione la situazione attuale, nella quale c'è poco spazio per altre grandi centrali termoelettriche e questo impatta sul monopolio energetico nazionale. Ma ormai - ha concluso - questo è lo schema sul quale stiamo lavorando". 
(28 marzo 2012)



martedì 27 marzo 2012

La Cina al bivio


Le Idi di marzo della Cina


di Francesco Sisci
RUBRICA SINICA Come la morte di Giulio Cesare, la caduta di Bo Xilai, avvenuta nello stesso giorno 20 secoli dopo, può imprimere una svolta al futuro politico di un paese. In che direzione andranno le riforme di Pechino? Occhi puntati su Hong Kong.



(Carta di Laura Canali tratta da Limes 4/05 "Cindia, la sfida del secolo"
È lo scandalo più grande che ha colpito la Cina in quasi un decennio, ma anche molto di più. La caduta di Bo Xilai - capo del Partito comunista di Chongqing (una megalopoli di oltre 30 milioni di abitanti) e membro del Politburo rimosso dalla carica il 15 marzo - potrebbe essere il punto di svolta nel difficile cammino della Cina verso le riforme politiche.

La sua rimozione si è verificata nell'anniversario delle più importanti "riforme politiche" dell'antica civiltà occidentale. Alle Idi di marzo, cioè il 15 marzo del 44 avanti Cristo, Giulio Cesare venne assassinato a Roma, aprendo la strada alla fine della Repubblica e all'inizio dell'impero.

È la fine del dominio di Bo a Chongqing e della sua idea che la Cina potrebbe ancora trovare qualche ispirazione nei vecchi tempi delle Guardie Rosse e della Rivoluzione Culturale. È la prova concreta che la Cina sta davvero girando la pagina: il licenziamento di Bo è arrivato solo un giorno dopo che il premier Wen Jiabao aveva annunciato la necessità di riforme politiche.

Infatti, tra pochi giorni Hong Kong sperimenterà una qualche forma di elezione democratica, e siccome quella città per decenni ha rappresentato il modello delle riforme economiche per Pechino, non è improbabile che sarà anche il suo modello di riforme politiche. La vicenda di Bo Xilai getta luce sulle nuove dinamiche interne del Partito comunista cinese (Pcc), che in un certo modo segnano un allontanamento dalle lotte politiche del passato.

La stessa ascesa di Bo è stata una deviazione dal normale percorso di ascesa comunista. Quando arrivò a Chongqing cinque anni fa, sembrava fosse all'apice. Persino la sua promozione da ministro del Commercio a capo di Chongqing era stata difficile, e ogni passo ulteriore, per finire con la sua ambizione di entrare nei vertici del partito, il Comitato permanente del Politburo - i nove politici più potenti di Cina - sembrava impossibile. Bo ha cambiato la situazione, lanciando la prima campagna politica nella storia della Cina continentale post-rivoluzionaria.

Ha attaccato le bande mafiose che dominavano la vita della metropoli e predicato il ritorno ai principî "di sinistra" e allo spirito egualitario della Rivoluzione Culturale (il movimento lanciato da Mao Zedong tra il 1966 e il 1976), reclutando una serie di intellettuali per farsi consigliare. Le sue iniziative erano pericolose perché comprendevano atti mai precedentemente approvati da Pechino. Aveva però una polizza di sicurezza, in quanto in Cina il gruppo conservatore è la "sinistra", ed è difficile attaccare qualcuno per le sue politiche conservatrici. Oltretutto ha ottenuto il sostegno della gente comune, che, pur non essendo fondamentale, è importante. Inoltre, le campagne anti-mafia e la riduzione delle disparità sociali erano e sono tra i principî sostenuti da Pechino.

Ma Bo ha dato loro nuova rilevanza, combinandoli in una sorta di moderno neo-maoismo, e così facendo ha creato il "modello Chongqing" che a un certo punto sembrava destinato a diffondersi a macchia d'olio in tutto il paese.

Il modello, tuttavia, comprende anche elementi apparentemente bizzarriconsiderando la crescita della Cina negli ultimi 30 anni. Le imprese private a Chongqing non hanno avuto vita facile: Bo preferiva quelle statali e promuoveva la competizione tra loro. Come segno del nuovo clima, la televisione locale era priva di pubblicità.

Ma la crescita del paese negli ultimi tre decenni è stata trainata dalle imprese private. Limitare le loro possibilità nel medio e lungo termine avrebbe soffocato lo sviluppo della Cina, una priorità strategica assoluta per il popolo e per i suoi capi.

Inoltre, limitando lo sviluppo delle aziende private, le opportunità di avanzamento sociale si riducono ad un unico canale: la burocrazia, che domina sia il governo sia le imprese statali. Nel medio e lungo termine questo sarebbe stato catastrofico, perché l'impresa privata è ora anche una forma di promozione sociale. Molte persone valide, lasciate fuori dalla burocrazia, rimarrebbero tagliate fuori, e potrebbero creare problemi.

Nel breve termine, tuttavia, le politiche di Bo avevano conquistato il sostegno popolare. In Cina, la gente comune accetta il ​predominio dello Stato o delle sue società, ma detesta l'arroganza dei nuovi ricchi - quelli che hanno fatto fortuna "in qualche modo". La lotta alla corruzione, alla mafia e ai nuovi ricchi divenne un'interessante piattaforma populista in un paese con crescenti differenze sociali, ma minacciava il fondamento della crescita cinese: uno Stato piccolo che interferisce poco negli affari.

A opporsi a questo modello stava Guangdong, la provincia meridionale che ha incoraggiato l'impresa privata ed è guidata dal predecessore di Bo a Chongqing, Wang Yang. Wang ha appoggiato un modello di crescita più liberale, più pro-mercato, e si è opposto fortemente all'intervento dello Stato.

Dunque la rimozione di Bo dal governo di Chongqing mette in evidenza un aspetto importante della politica economica, perché il suo sostituto è Zhang Dejiang, un vicepresidente del Consiglio che si occupava di politica industriale ed è stato il segretario del partito nel Guangdong priva di Wang.

In altre parole, Pechino sta affermando che la lotta contro la mafia e gli sforzi per ridurre le differenze sociali non possono minare il mercato e le riforme che lo sostengono. Al contrario, la dirigenza ritiene che queste riforme dovrebbero essere appoggiate. Questo è il motivo per cui Bo doveva essere eliminato: come figura politica - insieme con il modello di Chongqing - era diventato una minaccia.

Tuttavia, questa decisione mette la Cina di fronte a un enigma. Bo era popolare, e le riforme politiche pro-mercato sono in un certo senso dettate contro il sentimento popolare. Cioè, il sistema economico-politico liberale tanto amato dall'Occidente è promosso dalla Cina in qualche misura contro la volontà del popolo. In effetti, se ci fossero state elezioni libere a Chongqing e Bo avesse potuto fare liberamente campagna elettorale, probabilmente avrebbe vinto.

Pechino affronta il problema della demagogia nella democrazia, che conduce al ben noto compromesso nei sistemi occidentali tra i guadagni a breve termine (in questo caso, un sistema più equo) e quelli a lungo termine (in questo caso, il rapido sviluppo del paese). In Occidente questo trade-off, quando non trova un adeguato equilibrio, può bloccare il processo decisionale o alimentare politiche regressive. Nel caso cinese, le riforme politiche possono andare - a breve termine - contro la volontà della maggioranza, come a Chongqing, dove già ci si rammarica della partenza di Bo, secondo alcuni osservatori locali.

Come nel caso di Giulio Cesare più di 2000 anni fa, il pericolo più grande è una reazione conservatrice. La morte di Cesare ha provocato una nuova guerra civile a Roma e alla fine non ha garantito la sopravvivenza della repubblica, portando invece il nipote di Cesare, Augusto, al potere assoluto. A Roma il trend storico ha portato a una concentrazione di potere dittatoriale, anticipato dalle feroci guerre civili prima dell'ascesa di Augusto. Oggi a Pechino, e nel mondo, la tendenza è quella delle riforme liberali e democratiche. Ma ciò non può proteggere il paese da reazioni violente, soprattutto perché la democrazia e il populismo di sinistra rivolto al passato sono strettamente collegate.

Il prossimo test per la riforma politica della Cina - l'elezione dei vertici dell'esecutivo di Hong Kong nel fine settimana - diventa così un'indicazione cruciale su come la Repubblica Popolare voglia muoversi verso la democrazia. La selezione di tre candidati da parte di Pechino non può essere solo un modo per assicurarsi che il governo della città non diventi il focolaio dell'opposizione, ma è anche un modo per frenare le tendenze populiste, che potrebbero minare l'atmosfera liberale e pluralista. Sembra il colmo dei colmi, a vederla superficialmente: delle riforme liberali potrebbero essere imposte contro la volontà democratica popolare.

Questa potrebbe anche essere la lezione da trarre. Siccome le riforme economiche stanno ampliando le differenze sociali e creando gruppi di interesse con programmi diversi, questi interessi stanno cercando di trovare un'espressione politica. Anche se le situazioni in Chongqing e Hong Kong sono diverse, sono entrambe occasioni per assistere a una sorta di esperimento. Come ha detto Sun Liping, a Chongqing c'erano dei problemi seri, anche se la soluzione proposta era del tutto insoddisfacente.

Questo delicato momento di transizione metterà alla prova la maturità del Pcc.Affinché la vicenda Chongqing porti a una vera riforma, la parte che ha sconfitto la sinistra non dovrebbe gongolare, e la sinistra non dovrebbe contestare la sconfitta. Un sistema liberale funziona solo quando c'è un accordo etico alla base: tutte le parti accettano le regole del gioco.

Nessun sistema politico è totalmente giusto e preciso. Nelle elezioni presidenziali americane del 2000, Al Gore avrebbe potuto insistere nella sua richiesta di riconteggio delle schede elettorali della Florida, ma avrebbe minato il sistema politico degli Usa. Ha accettato e ammesso la sconfitta perché si preoccupava più del suo paese che della sua carriera politica, e perché si era reso conto che aveva troppo da perdere insistendo con le sue richieste.

Allo stesso modo, la Chiesa cattolica distingue tra Francesco d'Assisi e Martin Lutero nei loro approcci all'unità della Chiesa. Entrambi avevano ragione, ammettono ora i teologi cattolici, ma quando fu loro chiesto di sottomettersi a Roma il primo accettò, il secondo si ribellò. Al momento della polemica con il papa, Francesco non volle rompere l'unità della Chiesa e quindi sfumò le proprie posizioni, Lutero non si curò di mantenere l'unità della Chiesa e radicalizzò ulteriormente le sue idee.

Erano momenti storici diversi, e i due avevano forze sociali e politiche diverse alle loro spalle. Ma il primo, argomentano i teologi cattolici, ha apportato un grande rinnovamento alla Chiesa e alla società occidentale, mentre il secondo ha diviso la cristianità occidentale per sempre. L'interesse e l'importanza di tenere insieme un sistema possono essere più importanti dell'affermazione delle proprie ragioni.

D'altra parte, come ha sottolineato Sun Liping, il vincitore deve riconoscere i veri problemi posti all'ordine del giorno dagli sconfitti. Ora, la rottura dell'unità è il più grande pericolo per il Pcc, e per la stabilità del suo amato paese. Ciò è particolarmente vero se, come ha annunciato Wen, la Cina si sta imbarcando in un viaggio difficile, nelle acque inesplorate delle riforme politiche.

Il problema è capire se esista uno spirito unitario nella politica cinese.

"Alla domanda su quale degli altri due candidati [per la carica di capo dell'esecutivo di Hong Kong] avrebbe scelto se fosse stato costretto a votarne uno, il signor [Albert] Ho si è fermato. 'Entrambi sono inaccettabili', ha detto. 'Scegliere [tra loro] sarebbe come avere una pistola puntata alla testa. Io direi 'spara'".

Albert Ho, presidente del Partito democratico di Hong Kong, sa perfettamente di non avere alcuna possibilità di vittoria alle elezioni di domenica prossima. Allora cosa sta suggerendo, che la gente di Hong Kong dovrebbe uccidersi, o che lui stesso si suiciderà dopo il voto? In entrambi i casi la scelta è contraria all'essenza stessa della democrazia liberale, che spesso seleziona non la soluzione migliore ma la meno negativa, e accetta una sconfitta pur di mantenere l'unità del sistema.

La transizione politica ed economica della Cina sembra troppo indisciplinata; sta avvenendo in un paese troppo grande e allo stesso tempo troppo vecchio (separato dall'Occidente per migliaia di anni) e troppo nuovo (il vero rinnovamento del paese è iniziato solamente trent'anni fa) perché la democrazia produca risultati affidabili. Essa potrebbe degenerare in demagogia, come è accaduto molte volte nella storia. Allora il partito al governo deve agire come il leader in una repubblica, in assenza di democrazia popolare, e guidare il paese verso la democrazia promuovendo una società liberale.

Il compito è enorme e molto delicato. Molte cose possono andare storte. Le scelte degli uomini e delle politiche che verranno effettuate in occasione del prossimo congresso del partito in autunno mostreranno alla Cina e al mondo se questa leadership è all'altezza della missione.

China's Ides of March(Copyright 2012 Francesco Sisci - traduzione dall'inglese di Niccolò Locatelli)

(23/03/2012)