di Luciano Gallino, da Repubblica, 31 ottobre 2011
Le dichiarazioni del ministro Maurizio Sacconi circa la possibilità che creare tensioni sulla riforma del lavoro possa portare a nuove stagioni di attentati sono a dir poco avventate. Non vorremmo pensare che sia un modo per mettere a tacere qualsiasi critica. Ma è quanto meno un modo per evitare che si parli della inettitudine del governo, di cui è parte, nel fare fronte con adeguate politiche dell'economia e del lavoro ai drammi sociali della crisi. Ciò che infatti lascia stupefatti, nei propositi governativi di accrescere la libertà di licenziamento, è che vi siano un ministro del Lavoro, un certo numero di accademici, quattro quinti dei media e molti politici, anche di centrosinistra, capaci di sostenere con tutta serietà che ciò è necessario perché i lavoratori godono di garanzie eccessive quanto a mantenimento del posto. Sono troppo garantiti. Il posto fisso di tanti occupati impedirebbe alle aziende di assumere perché in caso di crisi non li possono licenziare.
Qualcuno dovrebbe spiegare ai fautori del licenziamento facile che nel mondo reale delle imprese e del lavoro il posto fisso, ossia la sicurezza dell'occupazione, è sulla via del tramonto da oltre un decennio, e con la crisi è quasi scomparso. Oppure potrebbero prendere loro l'iniziativa, facendo una serie di conferenze in giro per l'Italia allo scopo di spiegare a migliaia di lavoratori, occupati da imprese in crisi, come mai le straordinarie garanzie dell'occupazione di cui godono per legge non consentono ai loro datori di lavoro di licenziarli, ma soltanto di dichiararli “esuberi”. Un'etichetta che a rigore non è un licenziamento, ma quasi sempre porta allo stesso risultato: la perdita del lavoro, attraverso calvari più o meno lunghi che si chiamano cassa integrazione, piani di mobilità, prepensionamenti.
Avrebbero un lungo tour da fare, i fautori del licenziamento reso facile per far crescere le imprese e l'occupazione. Potrebbero cominciare da Pomigliano, dove Fiat assicura che per l'inizio del 2012 arriverà ad assumere almeno 1000 persone (purché, beninteso, non abbiano la tessera della Fiom); gli altri 4000 potranno godersi ancora per qualche mese il posto garantito dalla cassa integrazione (750 euro al mese). Dopo, chissà. Si dovrebbe poi visitare Mirafiori, dove i 5000 che saranno in cassa fino a metà del 2013 possono solo sperare che la targa di esuberi nel frattempo non cada anche su di loro. Il viaggio per spiegare ai lavoratori quanto siano garantiti, per cui occorre una nuova legge apposita al fine di ridurre le inaudite garanzie di cui godono, potrebbe quindi spingersi a Monfalcone a est ed a Sestri a ovest, luoghi dove Fincantieri ha annunciato 2.550 esuberi, o nei siti Alenia di Piemonte, Lazio e Campania, dove gli esuberi annunciati – da attuare mediante “accompagnamento alla pensione” – sono 2.200.
Per arricchire il tour non guasterebbe una sosta nelle grandi piazze finanziarie, o a Roma presso l'Abi, visto che le banche hanno in programma 30.000 prepensionamenti obbligatori. E sempre a Roma i paladini del licenziamento all'americana – si chiama uno e gli si dice “sei fuori, ma hai mezz'ora per portar via le tue cose” – potrebbero fare una capatina al ministero dello Sviluppo Economico, chiedendo di dare un'occhiata alle tabelle che mostrano come i lavoratori a rischio di perdere il posto causa crisi delle imprese che le occupano siano intorno ai 75-80.000. Si tratta in molti casi di imprese medio-grandi, tipo Merloni (4.000 lavoratori a rischio), Eutelia, un caso di cui si è molto parlato (1.900), Natuzzi (1.350) e decine di altri. Facendo un po' di somme, che richiederebbero di andare ben oltre i casi citati, i lavoratori supposti godere di un posto fisso, ma che a causa della crisi sono in questo momento in procinto di perderlo, sono centinaia di migliaia.
Dinanzi a simili realtà e al fatto che il governo sembri non tenerne minimamente conto, un'altra ipotesi potrebbe essere che tanto la lettera della Ue, quanto il fervore antilavorista del governo stesso, siano un mediocre gioco delle parti per dare a intendere agli investitori che l'una e l'altro sanno bene come mettere in atto programmi anticrisi davvero efficaci. Facendo finta di credere che il posto fisso esista ancora.
(31 ottobre 2011)
Le dichiarazioni del ministro Maurizio Sacconi circa la possibilità che creare tensioni sulla riforma del lavoro possa portare a nuove stagioni di attentati sono a dir poco avventate. Non vorremmo pensare che sia un modo per mettere a tacere qualsiasi critica. Ma è quanto meno un modo per evitare che si parli della inettitudine del governo, di cui è parte, nel fare fronte con adeguate politiche dell'economia e del lavoro ai drammi sociali della crisi. Ciò che infatti lascia stupefatti, nei propositi governativi di accrescere la libertà di licenziamento, è che vi siano un ministro del Lavoro, un certo numero di accademici, quattro quinti dei media e molti politici, anche di centrosinistra, capaci di sostenere con tutta serietà che ciò è necessario perché i lavoratori godono di garanzie eccessive quanto a mantenimento del posto. Sono troppo garantiti. Il posto fisso di tanti occupati impedirebbe alle aziende di assumere perché in caso di crisi non li possono licenziare.
Qualcuno dovrebbe spiegare ai fautori del licenziamento facile che nel mondo reale delle imprese e del lavoro il posto fisso, ossia la sicurezza dell'occupazione, è sulla via del tramonto da oltre un decennio, e con la crisi è quasi scomparso. Oppure potrebbero prendere loro l'iniziativa, facendo una serie di conferenze in giro per l'Italia allo scopo di spiegare a migliaia di lavoratori, occupati da imprese in crisi, come mai le straordinarie garanzie dell'occupazione di cui godono per legge non consentono ai loro datori di lavoro di licenziarli, ma soltanto di dichiararli “esuberi”. Un'etichetta che a rigore non è un licenziamento, ma quasi sempre porta allo stesso risultato: la perdita del lavoro, attraverso calvari più o meno lunghi che si chiamano cassa integrazione, piani di mobilità, prepensionamenti.
Avrebbero un lungo tour da fare, i fautori del licenziamento reso facile per far crescere le imprese e l'occupazione. Potrebbero cominciare da Pomigliano, dove Fiat assicura che per l'inizio del 2012 arriverà ad assumere almeno 1000 persone (purché, beninteso, non abbiano la tessera della Fiom); gli altri 4000 potranno godersi ancora per qualche mese il posto garantito dalla cassa integrazione (750 euro al mese). Dopo, chissà. Si dovrebbe poi visitare Mirafiori, dove i 5000 che saranno in cassa fino a metà del 2013 possono solo sperare che la targa di esuberi nel frattempo non cada anche su di loro. Il viaggio per spiegare ai lavoratori quanto siano garantiti, per cui occorre una nuova legge apposita al fine di ridurre le inaudite garanzie di cui godono, potrebbe quindi spingersi a Monfalcone a est ed a Sestri a ovest, luoghi dove Fincantieri ha annunciato 2.550 esuberi, o nei siti Alenia di Piemonte, Lazio e Campania, dove gli esuberi annunciati – da attuare mediante “accompagnamento alla pensione” – sono 2.200.
Per arricchire il tour non guasterebbe una sosta nelle grandi piazze finanziarie, o a Roma presso l'Abi, visto che le banche hanno in programma 30.000 prepensionamenti obbligatori. E sempre a Roma i paladini del licenziamento all'americana – si chiama uno e gli si dice “sei fuori, ma hai mezz'ora per portar via le tue cose” – potrebbero fare una capatina al ministero dello Sviluppo Economico, chiedendo di dare un'occhiata alle tabelle che mostrano come i lavoratori a rischio di perdere il posto causa crisi delle imprese che le occupano siano intorno ai 75-80.000. Si tratta in molti casi di imprese medio-grandi, tipo Merloni (4.000 lavoratori a rischio), Eutelia, un caso di cui si è molto parlato (1.900), Natuzzi (1.350) e decine di altri. Facendo un po' di somme, che richiederebbero di andare ben oltre i casi citati, i lavoratori supposti godere di un posto fisso, ma che a causa della crisi sono in questo momento in procinto di perderlo, sono centinaia di migliaia.
Dinanzi a simili realtà e al fatto che il governo sembri non tenerne minimamente conto, un'altra ipotesi potrebbe essere che tanto la lettera della Ue, quanto il fervore antilavorista del governo stesso, siano un mediocre gioco delle parti per dare a intendere agli investitori che l'una e l'altro sanno bene come mettere in atto programmi anticrisi davvero efficaci. Facendo finta di credere che il posto fisso esista ancora.
(31 ottobre 2011)
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