martedì 25 novembre 2008

Vacuo (2° parte)


Sentii un rumore, qualcosa di familiare, la porta dell'ingresso che si apriva, non ne ero intimorito, sapevo che chi entrava lo conoscevo, sapevo ogni cosa, sarebbe arrivata qui in pochi secondi.
L'unica cosa che si sentiva era il suo passo, leggero malgrado gli anfibi, verniciati di rosso con le stringhe slacciate, che spuntavano, uno dopo l'altro ad ogni passo, da sotto l'ampia gonna lunga in jeans tutta sfrangiata. Comparve da dietro l'angolo per entrare nella stanza, avvicinandosi al tavolino estrasse dalla sua borsa a tracolla in filo un pacchetto di foto, lasciandole con disinteresse sul divano dov'ero steso, si passò una mano tra i capelli corti e arruffati sorridendomi, non disse una parola, non serviva. Sapevo sicuramente il suo nome, ma non aveva importanza ora, tutto era come doveva essere, “Sì va tutto bene, è sempre stato così, lì davanti a te c'è la tua strada”.
Le foto erano scivolate a terra ma non ci curammo di raccoglierle, si sedette per terra ai miei piedi, mi guardava negli occhi, la guardavo…. era sempre così dolce. Non lo so. Pensavo, sì, a come risolvere il problema che attanagliava il mio computer da qualche giorno, ogni volta che lo accendevo mi dava uno strano messaggio, sempre diverso, era proprio un messaggio del tipo "oggi non ho voglia di stare connesso", oppure del genere, "non ho voglia di far niente, puoi spegnermi?".
Ero preoccupato, non avevo mai visto un computer comportarsi in questo modo, non hanno intelligenza, devono solo compiere ciò per cui sono stati costruiti. Pensavo ad un virus, ma non ne avevo trovati, avevo cercato anche accessi non autorizzati, ma non c'era niente. Ero sicuro si trattasse di qualcosa non facilmente rintracciabile… nascosto in qualche recondito angolo di qualche chip, perché sicuramente qualcosa era, solo che non capivo dove si potesse annidare.
Lei aveva acceso la televisione, a me non interessava granché era difficile che io guardassi la televisione, c'era, ma stava lì spesso come un qualsiasi soprammobile. Mentre per lei era la prima cosa d'accendere appena arrivava. Era come qualcosa di più forte, non controllabile, una forza misteriosa che l'accendeva, sia che ci fosse, o anche se non era direttamente presente. C'era. Sicuramente davano qualcuno dei soliti stupidi telefilm senza capo né coda che guardava di solito. Irriducibile.
Fuori dalla finestra il vento, la fine dell'inverno, minacciosi nuvoloni che correvano come forsennati ad ammassarsi sempre più sopra le nostre teste, le nostre case, sopra le persone che camminavano come automi, la fuori, promettevano solo pioggia e bufera, gli alberi del viale erano agitati, si muovevano come per uno sfrenato ballo, come uomini con chiome stile anni '70, con le braccia alzate, foglie ormai secche venivano sbattute in giro, sollevate dalle folate ripetitive di una promessa d'uragano.
Dentro la televisione accesa, uno stupido programma…un computer che non aveva voglia di elaborare qualche algoritmo, freddo, lei dormiva, sotto la coperta, lì adagiata sul divano. Era sensuale nel suo modo di addormentarsi davanti al televisore, le labbra appena socchiuse, ciocche di capelli che le ricadevano sul viso, che da sveglia le avrebbe sicuramente spostate, ora no erano lì che le davano un'aria così particolare.
Visto che il mio computer non voleva saperne di fare il suo dovere mi alzai per guardarla dormire, era sempre lei. Per fortuna. Sapevo che lei era per me una certezza, era bello guardarla, era bello quando era lì. Non sapevo il perché, ma sentivo che era così, la vedevo così tranquilla, trasognata, nel suo dolce sonno, dopo la giornata che sapevo doveva essere stata faticosa. Lei sembrava normale, doveva esserlo. Ero io che non quadravo, che dovevo essere strano, che non mi ritrovavo in quel posto, che non mi ritrovavo nel mio corpo, mi pareva di essere spostato dal mio essere, spostato dalla mia fisicità, dalla mia persona.
Che avessi lo stesso virus del mio computer, mi sembrava di essere sconnesso, ma soprattutto non avevo voglia di essere, trovavo una difficoltà enorme a ritrovarmi, anzi, mi pareva proprio di essere in una situazione di non essere, non so se era il modo di dire giusto, ma certamente era quella la sensazione che provavo in quel momento.
(continua
)

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